Nelle parrocchie e tra i presbiteri stessi si avverte il desiderio di esprimere un’identità del presbitero più autentica, valorizzandone il ministero di pastore e di guida spirituale. L’immagine non è quella di chi fa tutto ma di chi accompagna con pazienza le persone e le comunità cristiane.
Si evidenzia con positività la testimonianza di una vita donata e generosa e di una perseverante dedizione alla comunità da parte di ogni presbitero, senza dimenticare la sua umanità e fragilità da riconoscere e accogliere.
Si constata tuttavia tra i presbiteri una diffusa solitudine e fatica, riassumibile nell’espressione “non sono più significativo”.
Alcune cause possono essere ricondotte a un ruolo sempre più frammentato dove si chiede al presbitero “tutto ed il contrario di tutto”, generando in questo modo prassi autoreferenziali in molti ambiti pastorali o comportamenti di chiusura, esclusività e creazione di gruppi chiusi.
L’identità del presbitero e i suoi compiti sono ripensabili solo se rivisti assieme a quelli dei laici e delle comunità.
Si ravvisa inoltre un sovraccarico amministrativo-giuridico. Una questione emersa con forza riguarda il nodo della legale rappresentanza delle parrocchie ed Enti. È compito solo del parroco? Oppure del parroco con un team di laici, oppure solo di alcuni laici? Altro? Quale la “struttura” adeguata, che non generi a sua volta altri problemi?
Va ritrovata una chiarezza organizzativa per le parrocchie. Si indicano tre possibili strade:
- condivisione delle responsabilità e della leadership con i laici;
- creazione e assunzione di figure professionali che possano seguire gli adempimenti amministrativi, giuridici e gestionali;
- ridefinizione di prassi condivise per le parrocchie e di modelli di governance (chi decide cosa, come decide e chi fa).
L’importante è che il presbitero possa vivere una spiritualità più profonda, diventi un evangelizzatore a servizio del dinamismo della risurrezione (cfr. EG 276) e favorisca relazioni che edifichino la comunità.
Forse è giunto il momento di provare con più determinazione esperienze di vita fraterna tra i presbiteri e di valutare anche quella tra i presbiteri con diaconi permanenti, famiglie e laici, come si sperimenta spesso nelle cooperazioni missionarie.
Riguardo la formazione dei presbiteri, si evidenza come questa possa prevedere momenti più esperienziali, che affrontino anche le questioni concrete e gestionali come pure un continuo accompagnamento e verifica durante tutto il ministero.
Potrebbe essere utile potenziare la formazione condivisa tra presbiteri e laici?
E ancora: come precisare e qualificare l’identità e il compito dei diaconi permanenti, una presenza sempre più apprezzata e crescente?