Con riferimento alle strutture e alla loro sostenibilità economica è emerso come primo elemento positivo il valore dei molti beni ricevuti in eredità e custodia: vengono da una storia che ci precede, sono importanti anche nel presente e vanno resi significativi anche per il futuro.
Un secondo aspetto positivo è un rinnovato invito alla sobrietà e ad una Chiesa più povera: ciò significa non farsi possedere dai beni stessi ma utilizzarli in funzione del bene comune.
Tra le criticità si rileva la poca chiarezza su cosa e come si investe in parrocchia e con quali progetti, aprendosi anche ad ambiti meno considerati come l’educazione, la formazione e la carità. Vanno individuati dei criteri per definire cosa è davvero essenziale rispetto ai beni e alle strutture parrocchiali, cosa non lo è più e cosa è alienabile. È il tempo, non rinviabile, delle scelte.
Emerge l’esigenza di una maggiore responsabilità nell’utilizzo delle risorse in tutti gli ambiti pastorali. Tre possibili prospettive da sviluppare perché questa responsabilità non sia vissuta in solitudine dal presbitero:
- affidare la gestione a persone qualificate e remunerate che lavorino in un’ottica di rete inter-parrocchiale, in una condivisione sia delle risorse economiche che delle competenze;
- maturare la consapevolezza che immobili e strutture non sono solo un “peso” e che condividerli arricchisce di prospettive, idee e risorse anche economiche;
- aprire alle realtà civili e alle Associazioni del terzo settore, sia nella co-gestione che nella co-progettazione di beni e spazi, valutando anche nuove forme di economia civile.
Tutto questo coltivando una pazienza attiva nella maturazione dei processi.