Il volto delle parrocchie è in forte transizione, nel guado ecclesiale e sociale, e lo sarà per un bel po’, chiedendoci di stare nel processo più che pretendere di fissare una volta per tutte un modello. La stessa nozione di comunità risulta incerta, ma è percepita centrale, oltre ogni retorica o idealismo e ci sono elementi che ancora la caratterizzano: l’appartenenza credente, la centralità dell’Eucaristia e la preghiera, la disponibilità di tante persone e l’apertura agli altri, la presenza di presbiteri, diaconi e di persone consacrate.
Il “fare” va valorizzato come opportunità per promuovere relazioni le quali, a loro volta, creano l’esperienza di “essere” comunità.
Tuttavia, si percepiscono attese alte sul modello di intendere la comunità. Si avverte il rischio della burocratizzazione e di un approccio aziendale come offerta di soli servizi. Le problematicità sono di due tipi: interne ed esterne.
Da una parte l’utilizzo di un linguaggio (forme, modi, pensieri) che non comunica, poco incisivo che crea barriere, specialmente con le nuove generazioni.
Dall’altra, una certa introversione e autoreferenzialità; una certa ritrosia ad aprirsi ai temi culturali, sociali e ambientali che investono la vita di tutti, assieme alla rigidità di alcuni presbiteri, portano alla perdita dello slancio missionario e a inaridire la fecondità del Vangelo.
In prospettiva futura, il volto delle parrocchie si profila contrassegnato da una alta qualità dell’incontro con Cristo; nel mettere al centro la Parola e l’Eucaristia; nella presenza di laici qualificati e con ministerialità riconosciute non solo attinenti ai servizi intra-ecclesiali. Rilevante la loro presenza nella gestione dei beni e delle strutture, risorse preziose da valorizzare per l’azione pastorale.
L’attenzione al contesto della vita umana e sociale chiede di cogliere il bene in atto in una ospitalità dell’azione dello Spirito già presente in ciascuno e che sprona a un annuncio umile ma convinto.